Il Primo invito alla purificazione della mente
Non esiste Tradizione iniziatiche che non ci indichi all’inizio del cammino il buon comportamento da seguire nella società e verso noi stessi, al fine di essere civili verso gli altri ma soprattutto per conoscere noi stessi. Seguire le regole ci co-stringe a verificare cosa vorremmo fare al di fuori di esse e ci co-stringe a fare i conti con noi stessi e ciò che da questa osservazione emerge.
L’uomo per sua natura non è docile (per fortuna…), necessita di essere “regolato” diretto, indirizzato, come ogni potente energia che vuole espandersi verso l’alto..; come un bambino va contenuto al fine di aiutarlo a gestire e dominare le sue emozioni più istintuali, così l’uomo per prendere coscienza di se stesso e di cosa lo compone ha bisogno di regole.

Regole dettate da ogni religione primordiale, da ogni tradizione iniziatica, sempre uguali a se stesse. Le religioni dei primordi servivano a relegare le persone dentro un certo tipo di cammino, al fine di poterle indirizzare.. queste regole e queste vie sono presenti ovunque, anche se oggi spesso vengono banalizzate o rifiutate da un senso comune che tende a demonizzare la regola, che tende a demonizzare il sacrificio e la forza di volontà non più come atto di liberazione ma solo come costrizione. Niente di più triste e sconsolante… è il declino del cammino interiore.
Tutte le tradizioni possono essere comprese approfondendone una soltanto, questo perché tutte dicono parti di Verità ed è possibile trovarle ovunque se approcciamo allo studio e all’esperienza con mente libera dal pregiudizio.
Così come spiegato già nel precedente articolo, in questa serie di articoli useremo i Sutra di Patanjali per approfondire aspetti dell’inizio del cammino per renderlo saldo e fermo!
Yoga Sutra – Versi sullo Yoga di Patanjali
La struttura dello Yoga Sutra è composta da 194 aforismi, diviso in 4 parti o Pada:
- samadhi – estasi ( anche se per alcuni autori etimologicamente in questo contesto significa sintesi)
- sadhana – pratica, adorazione, mezzo per la liberazione
- vibhuti – poteri (Siddhi)
- kaivalya – isolamento, astrazione, coscienza assoluta.
Nel secondo libro, Sadhana Pada, dopo una bellissima introduzione dove ci descrive il cammino, l’autore che è tutto tranne che certo, ci indica come cominciare a Lavorare su noi stessi nel mondo, per il mondo e fuori dal mondo. Non sarà un Lavoro facile e veloce, ci vorranno anni per Osservare e definire, per consolidare, solvere e coagulare noi stessi verso ciò che siamo.
Nel tempo e nel luogo in cui fu trascritto, presumibilmente i praticanti vivevano isolati e praticavano ogni giorno con il proprio Maestro che poteva seguirli, “bastonarli” e correggerli. Ma noi dobbiamo fare i conti con la nostra realtà odierna, con la nostra vita quotidiana e non possiamo certo aspettare di “avere tempo” per prenderci cura della nostra integrità morale e la costruzione della nostra Anima, del Ponte verso l’Universo. Quindi cercheremo di affrontare la cosa più in profondità, più ampiamente, e con più sacrificio possibile di modo da comprendere la sconfinata grandezza e gioia che c’è dietro la pratica di Yama e di tutti i precetti di autocontrollo e disciplina che possiamo trovare ovunque come precetto dell’inizio del cammino di liberazione.

Solo un animo sincero, onesto, libero da attaccamento e brama può vedere davvero che tutto è Uno e che esiste una sola Tradizione divisa in tanti luoghi del mondo e che parla lingue diverse ma che porta sempre alla verità ultima, alla costruzione dell’Uomo Nuovo.
Il Raja Yoga ci invita così:
YS II. 30. Autocontrollo, o yama, è il primo passo dello yoga, e si compone dei cinque voti seguenti: non violenza (ahimsa), veridicità (satya), onestà (asteya), continenza (brahmacharya), e non possessività (aparigraha).
Potremmo spendere milioni di parole, ci sono in effetti moltissimi testi validi o meno editati, così come tantissimi articoli al riguardo, eppure tutto è il nulla cosmico se non è supportato dall’esperienza e dalla pratica. Le parole scritte e dette servono a mostrare che qualcosa da vedere c’è, a far nascere sana curiosità, a muovere i pensieri in quella direzione, a sviluppare attitudini ecc.. ma il Lavoro su se stessi si compie soli.
Osservare, osservare e riosservare per verificare l’osservato, è il Lavoro che è invitato a fare chi si avvicina ad un sentiero di Ricerca. Viene chiesto di tenere d’occhio se stessi in ogni istante della giornata e della notte. Viene chiesto di stanare le proprie abitudini, incongruenze, di sacrificare atteggiamenti e pensieri in favore del precetto osservato. E’ un Lavoro lungo, sacrificante, in cui si osserva spesso il silenzio e la solitudine, mentre un turbinio di pensieri inarrestabili vortica….. un Lavoro fatto con tutto se stessi (corpo-mente-emozioni).
Gli Yama uno ad uno
Qualche approfondimento su ognuno di loro per intravederne la grandezza e l’utilizzabilità nel quotidiano, per sviluppare le doti e le caratteristiche necessarie alla crescita personale. Il tutto è frutto di personali ricerche e considerazioni che non vogliono essere Verità assoluta ma solo un caloroso invito ad approfondire e condividere la nascita di un Individuo …
Tutti i precetti radunati nei Sutra che appartengono a testi più antichi Indiani sono in realtà delle depurazioni del Karma. Purificando questa vita, educando e controllando consapevolmente questi aspetti facciamo pulizia degli “errori e orrori” commessi eventualmente in una intera e completa esistenza che si muove nel segno dell’infinito e che sale e scende tra nascita e morte fisica.
Ahimsa – non violenza ( non uccidere, non fare del male, non nuocere)
Il potere che deriva dalla pratica di Ahimsa (non violenza) è forse il più grande di tutti, esso infatti ha una potente azione sulla nostra mente che è costretta a vedere, riconoscere, ed osservare in noi la paura più grande: perdere qualcosa. La violenza che esercitiamo è spesso la ricerca del potere, la competizione, è il bisogno di dimostrare uno stato di superiorità verso l’altro, supremazia ed esteriorità, a volte semplicemente superficialità. La violenza nasce dal bisogno di difesa e qui dobbiamo notare come l’atto violento nasconda paura, difesa di una posizione… di un valore, di una ideologia… tutto nasce dall’attaccamento ad un’idea, un ideale, una cosa…
Osserviamo il momento in cui nasce l’istinto alla violenza, focalizziamo quel momento, viviamolo… sentiamolo, consapevolizziamo. Se non vediamo con gli occhi dell’esperienza non possiamo conoscere davvero.
Ma la violenza va riconosciuta, in parole, azioni, non azioni, pensieri e silenzi. Ad esempio dietro ad ogni reazione istintiva e meccanica c’è la paura, c’è la persona. Attenzione però che essere non violenti non vuol dire essere passivi, subire la violenza altrui o attraverso la non azione generarne comunque. La non violenza è osservare le azioni e le non azioni intorno a noi e allo stesso tempo osservare come risuonano con le note che trovano dentro di noi e muoverci con esse consapevolmente. Viviamo immersi in un continuo stimolo sensoriale di causa ed effetto e il nostro compito è di renderci sempre più consapevoli delle nostre scelte ed azioni. Una azione in risposta dovrà sempre esserci ma consapevole, senza ledere l’altro, noi e il nostro insegnamento ricevuto e dato.

La comprensione del “male minore” ci aiuta a comprendere fin dove può arrivare un atto di violenza, o meglio dove fermarsi.
Facciamo alcuni esempi? Aiutare senza che ci sia richiesto è violenza; consigliare senza che ci sia richiesto è violenza; pensare di agire per il bene dell’altro, costringendo l’altro alle nostre idee è violenza; possedere un animale selvatico per il nostro piacere è violenza; tutti gli eccessi verso di noi e verso gli altri sono violenza; costringerci a estremizzazioni del nostro corpo, della nostra mente è violenza contro noi stessi; costringerci a situazioni dalle quali potremmo uscire è violenza ecc, ecc, ecc…
Osserviamo la violenza che si muove in noi, riconosciamola e scegliamo di conseguenza.
YS II.33 Quando al mente è disturbata da pensieri nocivi, soffermati sui loro opposti.
YS II.34 Poiché i pensieri, le emozioni (e le azioni) nocive, come la violenza e altre, siano esse compiuti, imposte, o istigate, causate dall’avidità, dall’ira o dall’illusione, siano di grado moderato, medio o intenso, sfociano tutte in dolore e ignoranza: è necessario coltivare gli opposti.
Per poter comprendere l’opposto è indispensabile e necessario riconoscere l’azione al nostro interno altrimenti si rischia di essere falsi nell’azione, burattini ammaestrati e non addestrati. Certo meglio imparare ad agire nel bene falsamente che compiere violenza, anche se non è Satya, ma noi ricerchiamo crescita oltre che morale. Il rischio è quello di vivere nell’illusione di essere non violenti perché si cerca di manifestare l’opposto… attenzione a questa grande falsità.
YS II. 35 Allorché lo Yogin è fermamente stabile nella non violenza, coloro che sono in sua presenza abbandonano ogni ostilità.
Le Leggi Ermetiche ci insegnano che viviamo in un mondo in cui le risonanze e le vibrazioni comunicano in piani sottili che sono invisibili come l’aria, ma tangibili come le emozioni. Se dunque da noi non emana violenza, essa non con-vibra con noi e così ciò che attraiamo o che emaniamo è azione non reazione, è attenzione e silenzio Certo chi è violento lo resterà anche con chi non lo manifesta, ma ciò non modificherà il nostro stato.
Satya – verità
Quanto difficile è scendere in profondità di questa osservanza, tanto è difficile dire a se stessi la verità sul proprio agire… Fin troppo banale dire che dobbiamo dire la verità, essere sinceri, non mentire a noi e agli altri. Ma cosa è la verità… Questa è forse l’osservazione più difficile che siamo chiamati a fare. Le labbra esprimono ciò che il Cuore veicola, la lingua traduce le connessioni cervello/emozioni/cuore/corpo. Dunque la verità sembra la risultante tra la saggezza della Mente e il sentimento del Cuore. Presuppone alla base un grande Lavoro di ricerca di equanimità.
Per dire la verità noi dobbiamo percepire, conoscere ciò che anima le nostre stesse intenzioni.
Ma cos’è la verità? La verità non è qualcosa da dire a tutti i costi, spesso è verità qualcosa che viene taciuto. La verità esce limpida pulita, è espressione del cuore.. Non si può dire: “ho detto la verità” se viene espressa con violenza.. la violenza non è verità, nuoce.
Dunque la verità è uno stato di coscienza, è un agire vero, libero e indipendente da emozioni di possesso, di dominio, di paura. La verità non è solo “parola” ma è un modo di essere, è libertà del e nel Cuore.
Mettiamoci in osservazione e pronunciamo solo parole vere che esprimono non la nostra paura rispetto al fuori ma la connessione tra Mente e Cuore e intenzione. Quando parliamo e viviamo in questo modo allora i frutti di questa azione (krya – purificazione) si vedranno, affioreranno a noi dalla melma.
YS II.36. Allorché lo yogin è fermamente stabile nella verità, egli consegue i frutti dell’azione senza agire.

Una persona che ha imparato ed interiorizzato la verità ha depurato il proprio corpo, il proprio animo dalle impurità, ha spostato veli della realtà e può vederne gli effetti, oltre i fatti perché ora è in grado di osservare causa ed effetto. Una persona capace di dire la verità, direi di sostenere la verità è anche in grado di vedere i movimenti della non verità. Un uomo che osserva i fatti con equanimità sa vedere oltre … sa vedere le conseguenze delle azioni e può agire di conseguenza senza mai manipolare le azioni altrui.
Asteya – non rubare, onestà
Non rubare presuppone che non si senta la necessità di possedere le cose altrui. Per non sentire questa necessità è importante aver compreso cosa è importante davvero rispetto all’apparire e il perché non le abbiamo. E’ molto legato al desiderio e alla sofferenza percepita come lontananza dal Divino; è un vuoto, una mancanza che si cerca di colmare per propria incapacità o percepita tale, prendendo dagli altri o creando la stessa mancanza negli altri. Alla mancanza di verità, dunque, si aggiunge la violenza .. cominciamo a vedere quindi come siano gli Yama l’uno concatenato all’altro inscindibilmente.
Invidia, Accidia, Superbia, Lussuria, Ira in questo contesto ci sono quasi tutti! Come vedete c’è un gran bel lavoro da affrontare, molto da Osservare e niente da scartare.
Una volta iniziato a togliere i vari strati, affiora sempre più dal profondo il senso del furto che è togliere all’altro ciò che non siamo capaci di darci da soli. Tempo, donne/uomini, oggetti, dignità, forza, energia. Se l’altro con fatica e abnegazione ha conquistato qualcosa con le sue forze la nostra invidia e/o gelosia ce lo fa vedere come qualcosa di losco e giustifica il furto.
Osserviamo… Il tempo e l’energia vengono spesso rubati all’altro, ecco perché se non rubiamo ci viene ridato mille volte tanto, perché vuol dire che abbiamo impiegato il nostro tempo e le nostre risorse a trovare il modo di usarle e paradossalmente investendo il nostro tempo, le nostre forze, la nostra determinazione avremo indietro un risultato grande tanto quanto l’impegno impiegato. Garantito!
Onestà ha però anche sfumature diverse da non rubare. Onesto si intende Etico, che è molto più che morale. Etico significa che agisco secondo il grado della Coscienza raggiunta attraverso il Lavoro di depurazione fino a questo momento fatto.
Diventa sempre più chiaro perché gli Yama sono intesi come azioni di purificazione. Impossibile percorrere la via della Verità, dell’Onestà e della non violenza se osserviamo e puliamo gli strati di melma che offuscano la vista interiore.
YS II.37. Allorché lo Yogin è fermamente stabile nell’onestà, le ricchezze interiori si presentano a lui da sole.

Se impariamo a non rubare, ma a Lavorare per ottenere con le nostre capacità, usando amore e costanza, allora le nostre azioni precedenti saranno depurate, la nostra vibrazione diventerà più “rumorosa” tanto da riuscire ad attirare le cose per cui piano piano prepariamo il terreno..
Bramacharya – continenza dei sensi
La continenza è la questione più dibattuta, purtroppo solo da un punto di vista: la sessualità. Ma non riguarda solo la castità sessuale, ma bensì riguarda tutti i sensi. Il distacco dal godimento dei senso, o forse meglio dire: la capacità di non lasciarsi confondere dai sensi. Il primo passo per imprare a farlo è rinunciare ad essi.
Sensorialità in generale, quindi parliamo di gusto, tatto, vista, olfatto, udito… è la dipendenza e il bisogno da tutto questo. L’attrazione sessuale è determinata da tutti i sensi.. pensiamoci, un abbraccio ne appaga molti, ma possiamo rinunciarci o negarlo? La questione della rinuncia nella visione della via del Santo è molto estrema, ma noi cerchiamo di guardarla come fin’ora abbiamo fatto: con equilibrio e buon senso. La rinuncia reale non è fuori da noi ma dentro, e la sofferenza determina la quiete, non il fanatismo!
Il Buddha ce lo insegna quando afferma che la rinuncia è un mezzo, non il fine. Se diventa il nostro fine allora rischiamo di diventare fanatici e non si aprirà nessuna porta se non quella dell’illusione e quindi della sofferenza e dell’ignoranza.
In particolare osserviamo la questione della castità sessuale da un punto di vista energetico (la questione istintuale è abbastanza intuitiva…); il corpo umano per sua natura deve scaricare energia che non riesce a convogliare verso ”alto”. In un lavoro di spiritualizzazione quell’energia deve essere indirizzata, canalizzata al fine di trasformarla in sostanza sempre meno densa. Potremmo ampliare questo discorso a tutto. Dunque portare il nostro pensiero oltre la mente razionale, trasporta le nostre energie verso i centri più alti, i quali non hanno una posizione definita ma si intende più un piano vibrazionale… Quando il nostro pensiero ricade in un momento di sessualità, le energie si spostano, cadono verso il “basso” e si perde quel che si è costruito. Anche il corpo ne soffre con dolore e tensione nervosa. Quindi il mantenere l’attenzione sessuale ad un livello di astrazione consente la pulizia di pensieri attrattivi verso gli istinti più bassi fino a sublimarli e poter poi decidere dove direzionare il pensiero. Il fine è quello di permettere alle nostre energie di incanalarsi esattamente dove vogliamo e non disperderle senza controllo. Questo è un modo..
Facciamo ora una considerazione in generale sui sensi. Proviamo ad immaginare se noi dopo aver ascoltato il silenzio per giorni ci concediamo la musica di Bach o una musica degna di attenzione e ne godiamo con tutti i nostri sensi, davvero perdiamo il contatto con il silenzio? Davvero rischiamo di cadere nel baratro annusando il profumo inebriante di una rosa in primavera, osservando e godendo della danza d’amore di uccelli in volo? Nella mia esprienza, non accade.. anzi i sensi mi consentono di godere dell’esperienza della creazione e di esperire l’unità… questo perché l‘intenzione che noi mettiamo nell’azione è l’unico vero mezzo di realizz-azione.
Tutto il Lavoro di sforzo e sacrificio consente di arrivare al discernimento.
YS II. 38. Allorché lo Yogin è fermamente stabile nella continenza, acquista energia.
Due sono i vantaggi: energia fisica, che attraverso il discernimento viene depurata e ottimizzata e energia mentale che attraverso la continenza viene sublimata in potenza per il Lavoro più sottile.
Aparigraha – assenza di avarizia e cupidigia, non desiderare cose altrui
La cupidigia, ovvero la brama di possedere; avere contro essere, apparire contro sostanza; l’avarizia è la non capacità di dare; non abbandonare il superfluo e trattenere per se tutto, questa azione intasa, inquina corpo e mente impedendo quelle connessioni, quelle azioni verso lo Spirito, verso la libertà mentale e fisica dalle cose e dalle persone.

Aparigraha ci insegna il distacco che non è assenza di interesse o di emozioni, anzi…piuttosto è un sentire completo e profondo ma che allo stesso tempo ci consente di osservare la realtà dell’osservato. L’oggetto viene “de-importantizzato” mentre allo stesso tempo viene vissuto. Non è uno sdoppiamento ma è una doppia attenzione su livelli diversi. Osserviamo i tentacoli della materia cercando di non farci prendere da essi.
Potrebbe un Santo uomo non amare davvero, non essere compassionevole e per tanto percepire, sentire, soffrire? Non credo.. ma allo stesso tempo, lo stesso Uomo, nello stesso momento non è attaccabile da quelle emozioni e sensazioni.. resta libero pur vivendole.
Racconta
una famosa storia Zen di due monaci : “Un
giorno due monaci buddisti stavano facendo ritorno al loro monastero,
camminando in silenzio. Essi praticavano lo stato di testimonianza,
osservando i loro pensieri e il mondo in modo distaccato.
Giunti
alla riva del fiume che li separava dalla loro meta, notarono che non
c’era il barcaiolo che solitamente li traghettava dall’altra
parte del fiume. Attesero a lungo ma questi non si fece vivo.
Nel
frattempo, giunse una giovane donna che analogamente si mise in
attesa del barcaiolo per attraversare il fiume.
Cominciava a farsi
buio, per cui decisero che non era più il caso di aspettare e di
attraversare il fiume da sé.
Vedendo, però, la donna in
difficoltà, uno dei monaci si offrì di aiutarla e la portò sulle
spalle mentre attraversava il fiume. Dopo la traversata, la donna
ringraziò e i due monaci proseguirono il loro cammino verso il
monastero in silenzio.
Quando ad un certo punto, l’altro monaco interruppe il silenzio: «Come hai potuto fare una cosa del genere? Noi non dovremmo avere nessuna relazione con le donne, figurati poi toccarle e nientemeno portarle sulle spalle!»
Il monaco che aiutò la donna compassionevolmente rispose: «Io ho lasciato quella donna tempo fa, sulla sponda del fiume, ma tu, mio caro, la stai ancora portando con te».
Attaccamento è tutto ciò che non ci rende liberi di fare la cosa giusta, avarizia è tutto ciò che non ci consente di essere compassionevoli..
YS II.39. Allorché lo Yogin è fermamente stabile nella non possessività, sorge la conoscenza dei come e perché dell’esistenza.
Il Distacco, quello vero, nasce dal non aver bisogni legati al possesso. Si possiedono non solo gli oggetti ma anche le persone, le idee, i sentimenti. Così se sono distaccato da tutto questo posso essere come una canna di bambù al vento e percepire come il vento non sradica le mie radici profonde. Sono elastico, posso lasciarmi colpire dal vento, ma non potrà togliermi dal mio posto nell’Universo!
Conoscerò così le avversità, la forza del tempo e in me si apriranno le visioni del passato e del futuro.
Conclusione
Ricordiamo che i dettami servono fino a che non ci trasformano nel dettame stesso, allora lo possiamo abbandonare … Iniziamo da questi piccoli accenni per esplorare in noi, se volete, il profondo baratro che ci separa dal nostro vero vivere.

operatrice e insegnante Shiatsu
operatrice Tuina
insegnante Yoga e Ginnastica Posturale